“Mi sono alzato questa mattina ed in un batter d’occhio i miei piedi sono stati avvolti da ciabatte comodissime, le mie pupille in pochi secondi si sono dilatate per il primo selfie della giornata ed il mio manager mi aggiornato sul fatturato del mese a parecchie cifre; rido annuisco anche se non capisco più di tanto… non ero forte in matematica… ma il tempo è poco, colazione di gala e subito macchina sportiva che mi porterà chissà dove”.
No…non è credibile. Rifaccio.
“Mi sono alzato questa mattina e nulla di ciò è avvenuto. Il cellulare era anche scarico e il Flash sotto il 5% non lo fa neanche. Allora mi siedo sul letto, i piedi sono ghiacciati ma se sono fortunato troverò il latte in frigorifero se no aspetterò l’ora di pranzo. Accendo il fornello e penso che sarà meglio connettermi ad internet per vedere se qualcuno mi ha scritto. Wind: messaggio gratuito, il credito risulta insufficiente per accedere ad internet. Ricarica e la promozione si potrà rinnovare. Corro con in bocca un biscotto, salgo sul treno che è in ritardo, sporco, affollato e pieno di gente ma a me sembra di essere nel deserto del Sahara. Eppure il mio palmo della mano mi aveva detto che non è così brutto iniziare la giornata: ciabatte comode, selfie di buongiorno, manager, fatturato, lusso… ma scusa se non è così come può essere la vita veramente? Cioè la Ferragni e chi ha pubblicato il post di buongiorno su facebook non hanno una vita come la mia? Oppure sono io che sono diverso? Sarà meglio rimanere aggiornati e prendere lezioni di vita! Attacco il caricatore portatile al cellulare e mi accomodo nel mondo dello smartphone”.
Questo è ciò che alcuni si immaginano la realtà debba proporre. Un attaccamento continuo, quasi vitale allo smartphone che ormai occupa e sostituisce le relazioni reali per convertirle in digitale, abituando la società ad un livello e stile di vita a dir poco camuffati. Il primo esempio richiama infatti il mondo immaginario cui internet ed il cellulare fanno aspirare, il secondo invece richiama alla realtà vera. Si crea quindi un gap esistenziale tra i due mondi che intrappola chi via via diventa sempre più attratto dalla rete. Si può parlare quindi di una vera e propria dipendenza che – a differenza delle altre – genera un effetto collaterale molto più preoccupante e molto meno apparente. Le classiche dipendenze da fumo, alcool e droghe sono accumunate dal fatto che hanno effetti sulla salute visibili sul corpo a medio/lungo termine. Invece questa nuova forma non interessa tanto l’aspetto fisiologico quanto quello relazionale.
Ne sono vittime principalmente le persone, spesso giovani, che vivono già un disagio nelle relazioni con gli altri, ma che con questi mezzi trovano una scappatoia dalla propria solitudine. Seduti comodamente in casa nessuno ha più bisogno di faticare per trovarsi amicizie e scambi e accedendo ad internet e ai social hanno tutto ciò che può servirgli per sentirsi in apparenza socialmente inclusi. In effetti l’offerta che propone uno smartphone è molto appetibile agli occhi e comprende quasi gratuitamente potere, immortalità e bellezza. Il potere è servito ai clienti attraverso la possibilità di cercare, guardare, informarsi e scrivere senza alcun limite e senza alcuna fatica. L’immortalità è invece rappresentata dal fatto che la rete non conosce, o sembra non conoscere, una fine: sempre più aggiornamenti e contenuti che accrescono all’infinito i confini del mondo virtuale.
E per ultimo, forse il punto più perverso: la bellezza. Essa può essere cercata e trovata con facilità…ma ciò che poi ci viene presentato aumenta il gap tra mondo reale e mondo virtuale di cui anche prima si faceva accenno. Basti pensare alla pornografia in grado di presentare forme di bellezza che poco rispecchiano la realtà e i tempi della vita. Tutto ciò, posto sul palmo di una mano giovane, pre-adolescente o adolescente attraverso un apparecchio elettronico è come una bomba atomica che se non controllata può scoppiare e catturare la persona che ne fa uso. Non è un caso che i soggetti più a rischio siano proprio i più giovani poiché non possiedono ancora un’identità costituita capace di sorreggerli con libertà; sono quindi loro che, avendo difficoltà a porsi limiti e a discernere la relazione su piano qualitativo, si arrendono e diventano veri e propri dipendenti della rete. Questa dipendenza non ha ancora un nome specifico, ma deriva dalla nomofobia (no-mobile-fobia) ovvero la paura di rimanere senza il cellulare e soprattutto di rimanere senza ciò che quest’ultimo oggetto porta con sé. Non è sempre facile riconoscere il confine tra l’uso massiccio e quello da dipendenza perché ormai lo smartphone è diventato oggetto di lavoro e di supporto scolastico.
Sicuramente più essere d’aiuto guardare alle relazioni reali con gli altri: quando queste vengono a mancare e l’unico pensiero durante il giorno è principalmente cercare e usare il cellulare con crisi di vera e propria astinenza, allora si è di fronte ad un sintomo da tenere sotto osservazione ed è necessario agire in breve tempo. Agire in questo caso non si tradurrebbe nel sottrarre il cellulare al soggetto; ciò avrebbe risultati opposti. Largo alle attività alternative con altre persone per ristabilire il processo di costruzione della relazione reale: unica soluzione per uscire dal circolo vizioso in cui attrae la rete. Una trappola in cui è facile cadere. Dal punto di vista educativo forse varrà la pena andare verso il futuro – paradossalmente per qualcuno nuovo ed inesplorato – della relazione face to face: la nuova frontiera del prossimo decennio?
Emanuele Bergami, educatore e collaboratore Focr-Consultorio Ucipem Cremona
Per approfondire:
GUERRESCHI C., Mobile addiction. La dipendenza da cellulare, Milano 2014
Ww2.deloitte.com, report sul global mobile consumer survey 2016